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"Edward Cope" Paleontológiai Alapitvány/"Edward Cope" Paleontological Foundation

 

La paleontologia (dal greco παλαiός, paleòs = "antico", ων, οντος che è = forma del verbo "essere", e λόγος, lògos = nel senso di "studio") è la branca della storia naturale che studia, attraverso i loro fossili, gli esseri vissuti nel passato geologico e i loro ambienti di vita.

 

Storia  della  paleontologia

Nel VI secolo a.C. filosofi greci come Senofane, avevano scoperto la vera natura dei fossili. In epoca ellenistica Eratostene aveva studiato fossili, deducendo dalla presenza di fossili marini in luoghi lontani dal mare il lento spostarsi della linea di costa. Nel Medioevo tuttavia molti naturalisti condividevano la teoria che i fossili rappresentassero i prodotti di una misteriosa "forza plastica" (vis plastica) che scaturiva dalle profonde viscere della Terra, oppure si pensava che fossero "scherzi della natura" o anche che si trattasse dei resti di animali uccisi dal Diluvio universale.

La vera origine dei fossili, ossia l'antica teoria che si trattasse di resti fossilizzati di animali e piante, fu ripresa in Italia da Leonardo da Vinci alla fine del '400 e nel XVI secolo da Girolamo Fracastoro, che si oppose decisamente all'idea della "vis plastica". Studi più sistematici sull'origine organica dei fossili, che fondarono la moderna paleontologia e fecero abbandonare la vecchia idea della "vis plastica", furono compiuti nel XVII secolo da Agostino Scilla e da Stenone.

Durante il XIX secolo i fossili sono stati studiati per la classificazione e in seguito impiegati nella ricerca della risoluzione di alcuni problemi come quello relativo alla determinazione dell'età delle rocce. In particolare, agli inizi del 1800, un medico inglese, Gideon Mantell, trovò un grosso osso in un mucchio di pietre: studiandolo, capì che non poteva essere una mandibola di mammifero, perché le rocce che lo circondavano erano troppo antiche. Però, notando la somiglianza di quei denti con i denti dell'odierna iguana, Mantell stabilì che l'animale era un enorme rettile erbivoro. Lo chiamò Iguanodon, dal greco "dente d'iguana". Qualche anno dopo, il geologo William Buckland trovò un'altra mascella di rettile, questa volta carnivoro, e lo chiamò Megalosaurus, "grande lucertola". La caccia ai fossili era definitivamente iniziata. Ma il vero padre della paleontologia fu il famoso anatomista e paleontologo inglese Richard Owen (1804-1892), il primo a coniare il termine "dinosauro" nel 1842. Inoltre fu proprio lui a voler aprire ed allestire un museo di scienze naturali a Londra che aprirà nel 1833.

Molti da allora sono stati i progressi nella ricerca e nuove specie fossili sono state ritrovate in diverse aree del mondo, permettendo l'acquisizione di nuove conoscenze sui processi dell'evoluzione della vita sulla terra.

 

 

 

 

 

 

La Scienza - Paleontoliga

I.                   Franz Nopcsa era un nobile transilvano, vissuto tra il XIX e il XX secolo, con la passione dei fossili. Noto soprattutto per le sue imprese personali e politiche, Nopcsa aprì la strada a tecniche di analisi dei fossili e formulò teorie sull’evoluzione e la dispersione dei dinosauri in tutto il mondo. Recenti scoperte dimostrano che le sue idee scientifiche erano straordinariamente avanzate.

II.                Grazie al perfezionamento di tecniche di spettroscopia di massa, un gruppo di ricercatori è riuscito a identificare ben 126 sequenze proteiche da un femore di mammut lanoso aprendo così le porte alla possibilità di utilizzare la paleoproteomica come mezzo per definire relazioni filogenetiche fra le specie.

Un gruppo internazionale di scienziati è riuscito a identificare 126 distinte sequenze proteiche da un osso di mammut lanoso (Mammuthus primigenius) risalente a 43.000 anni fa. Lo studio, pubblicato sul "Journal of Proteome Research", dà impulso al campo della paleo-proteomica grazie all'identificazione di sequenze proteiche preistoriche che potrebbero essere utilizzate per identificare specie, relazioni evolutive e anche, forse, antiche malattie. L'analisi proteomica potrebbe quindi essere utilizzata come alternativa all'analisi del DNA nei campioni troppo degradati per contenere materiale genetico utile.

 

In precedenza erano state pubblicate sequenze proteiche di fossili di dinosauro, tra cui diverse di un Tyrannosaurus rex di 68 milioni di anni e di un adrosauro di 80 milioni di anni fa, ma i risultati si erano rivelati controversi.

 

Questi e altri studi di antiche proteine avevano identificato "una o alcune" delle proteine più abbondanti nelle ossa, come il collagene, osserva Enrico Cappellini, In forza presso il Centro di  geogenetica del Natural History Museum of Denmark, a Copenaghen, e autore principale dello studio.

 

Ritenendo che fosse possibile fare di meglio, Cappellini si è così messo al lavoro con alcuni ricercatori del Novo Nordisk Foundation Center for Protein Research, con sede a Copenaghen, e utilizzando le più avanzate tecniche di spettrometria di massa, ha studiato campioni di un femore di mammut trovato nel 1993 nel permafrost della Jacuzia.

Cappellini dice che il suo gruppo ha perfezionato ogni singola fase fase della tecnica  -  tarandola grazie a campioni moderni che presentano molto materiale di alta qualità  -  così da massimizzare la sensibilità alle tracce di proteine, e sviluppando severi controlli per

 

eliminare le contaminazioni. I ricercatori hanno scoperto, per esempio, di dover rinunciare all'uso di guanti in lattice dopo aver riscontrato la presenza di peptidi provenienti dall'albero della gomma (Hevea brasiliensis).

Precedenti analisi del DNA dello stesso mammut avevano rivelato che l'animale probabilmente aveva una pelliccia di colore scuro. Cappellini dice di non poter fare rivelazioni simili: "Abbiamo cercato disperatamente di informazioni relative alla biologia dei mammut", dice, ma senza successo.

 

Ma anche così, osserva Mary Schweitzer, paleontologa alla North Carolina State University a Raleigh, e membro dell'équipe che aveva studiato le proteine di dinosauro, lo studio "è esaltante" perché si tratta della prima ricostruzione di un così gran numero di antiche proteine: "Questo studio ci fa sperare in un rigoroso controllo molecolare delle ipotesi filogenetiche attraverso biomolecole diverse dal DNA".

 

 

Proteine promettenti

Oltre al collagene, il team ha identificato una serie di proteine coinvolte nella matrice extracellulare del tessuto osseo e alcune proteine del sangue, tra cui l'albumina. I ricercatori sono particolarmente entusiasti per albumina perché, a differenza del collagene, la sua sequenza di aminoacidi varia notevolmente da una specie all'altra, e  la sua sequenza potrebbe quindi essere utile per identificare le specie e studiare le relazioni filogenetiche.

 

Come ci si aspettava, le sequenze proteiche del mammut sono strettamente collegate a quelle degli elefanti moderni, ma i ricercatori hanno messo in evidenza alcune differenze:  in due punti l'albumina di mammuth, per esempio, possedeva amminoacidi diversi da quelli degli elefanti africani e asiatici odierni (rispettivamente Loxodonta africana ed Elephas maximus).

 

Le sequenze di proteine non forniscono altrettante informazioni del DNA, ma sono più stabili, per cui i ricercatori sperano di poter ottenere informazioni anche da antichi campioni in cui il DNA è degradato. La proteomica di un antico animale potrebbe quindi fornire informazioni sulla funzione delle proteine che non sono contenute nel suo DNA, ma potrebbe anche essere sfruttata, almeno in teoria, per cercare indizi di mutazioni che potrebbero essere segno della presenza di antiche malattie

 

Ma, prima, Cappellini vuole studiare come le proteine sopravvivano nelle diverse condizioni e i meccanismi attraverso cui si degradano. Con il suo gruppo è stato in grado di identificare anche 35 proteine da un mammut rinvenuto nel sito di Dent, in Colorado, e 19 da un mammut scoperto nel sito de La Sena. in Nebraska; Dato che entrambi questi esemplari sono stati scoperti in località degli Stati Uniti caratterizzate da un clima molto più caldo, ciò dimostra che la tecnica può essere applicata anche a campioni antichi che non si siano conservati grazie al congelamento.

 

"Ora possiamo tornare indietro nel tempo e vedere che cosa siamo in grado di rilevare nei vecchi campioni", dice Cappellini. IL prossimo passo sarà lo studio di resti risalenti a centinaia di migliaia di anni fa.

 

(L'originale di questo articolo è stato pubblicato online su "Nature" il 9 dicembre 2011.)

 

 

 

 

 

 



 

 

 



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